Comunicazione e creatività nello sviluppo del packaging

Se penso a quando ho iniziato ad occuparmi di packaging (20 anni fa) rivedo tutta una serie di errori e ingenuità che ho commesso all’inizio della mia carriera.

Sono errori in parte dettati dall’inesperienza – perché quando si comincia da zero c’è tutto da imparare a spese proprie – e in parte dettati da una visione errata radicata di questo lavoro – tutt’ora molto diffusa.

Dopo i primi tempi di esperienza, l’abc di questo lavoro mi era chiaro, ma mi rendevo conto che i risultati finalizzati alle vendite dei prodotti dei miei clienti tardavano ad arrivare, eppure adottavo esattamente lo stesso approccio utilizzato dai creativi delle altre agenzie. Ma forse l’errore era proprio quello…

Ho raggiunto gli obiettivi più importanti quando ho iniziato a ragionare in modo “contro intuitivo”.

Mi sono accorto che il problema era tutto in un errore di valutazione iniziale.

Ripensare esattamente al ruolo del packaging e alla sua funzione primaria mi ha aiutato a ragionare restando focalizzato sull’obiettivo principale: la vendita del prodotto!

È così che ho ridefinito le priorità ed è così che ho inziato ad aiutare realmente i miei clienti, sviluppando una confezione dopo l’altra che contribuiva all’incremento delle vendite e del fatturato. Questo mi ha portato a specializzarmi nel singolo settore del packaging e oggi è l’unico servizio che realizza la mia agenzia.

Ad oggi in Italia le cose non sono cambiate più di tanto e il lavoro di agenzie tutto fare, grafici e figure professionali improvvisate è facilmente collocabile in uno schema che io ho definito le “4 tipologie del packaging” che puoi trovare sul mercato.

 

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4 approcci per sviluppare il tuo packaging

Vedremo ora le 4 tipologie di sviluppo del packaging (come ti spiego anche nel video), analizzandole dalla meno utile alla numero 1: il packaging ideale per ogni prodotto.

4. Si tratta di un imballo che non comunica col consumatore (non è focalizzato sulle sue esigenze e non usa il suo linguaggio) e non è frutto di un processo creativo rilevante.
Possiamo considerarlo il punto di partenza (tutti siamo partiti così) perché coinvolge evidentemente persone che non sono in grado di analizzare ed elaborare una strategia, né di apportare un contributo creativo degno di nota.

In 4 parole: brutto e non comunica.

 

3. Ancora oggi il più diffuso è un imballo che punta molto sull’aspetto creativo (ricerca, sperimentazione e originalità). Peccato che tutto questo estro creativo non sia al servizio di una strategia studiata per vendere. Succede perché ci si concentra subito sull’estetica dell’imballo, per questo il risultato finale è costituito da un prodotto esteticamente gradevole che però non verrà mai scelto perché non è in grado di rispondere alla reale richiesta del consumatore.

In 4 parole: bello, ma non vende.

 

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2. Il terzo tipo è un imballo con pochissima ricerca creativa, spesso fin troppo scarno, perchè l’approccio e lo sviluppo sarà tutto riversato verso l’analisi che riuscirà a comunicare esattamente quello che interessa al consumatore. Questo elemento gli permette di vendere comunque di più delle soluzioni precedenti proprio perché è focalizzato sull’esigenza del consumatore o cliente finale.

In 4 parole: brutto, ma genera vendite.

 

1. Qui abbiamo la perfezione, richiede infatti una grande abilità analitica (uno studio approfondito del mercato di riferimento e del cliente tipo) e la capacità di produrre un messaggio chiaro e inequivocabile al consumatore. Riesce a farlo sfruttando al meglio la comunicazione del prodotto sulla confezione, la strategia che diventa uno strumento al servizio della creatività. È quello che io definisco solitamente l’effetto “magia” ovvero un packaging funzionale alle vendite!

In 4 parole: È bello e vende.

 

La componente creativa diventa uno strumento potentissimo quando inserita nel contesto giusto e successiva allo studio e alla comunicazione del prodotto, sarà invece un effetto boomerang se presa come punto e di partenza per lo sviluppo di un packaging destinato alle vendite.

 

Avendo una posizione così decisa sul packaging creativo in molti mi chiedono come mai diversi lavori di Packaging In Italy abbiano conseguito dei riconoscimenti che premiavano proprio la creatività del lavoro svolto. La risposta è semplice: solo quando le linee guida di partenza sono orientate con precisione verso la vendita possiamo dare sfogo alla creatività e vi posso garantire che solo in quel momento la creatività sarà anche più semplice per la chiarezza degli elementi da utilizzare. Per questo motivo negli ultimi anni abbiamo conseguito i riconoscimenti più alti in Italia che premiano la nostra creatività!

Personalmente preferisco il premio sul fatturato in aumento, un riconoscimento che spesso ci arriva dal nostro stesso cliente ed è per noi quello di maggiore importanza.

 

La trappola in cui cadono più frequentemente imprenditori e manager?

Spesso è l’agenzia tutto fare, non specializzata in un settore (cataloghi, packaging, stand e siti web) non hanno tempo per l’analisi, quindi si punta tutto sulla soluzione creativa, a volte pensando più ai risvolti positivi per l’agenzia stessa che ai risultati per il cliente.

Il quadro mi sembra chiaro e credo di averti fornito elementi utili per prendere la decisione migliore quando si parla del tuo prodotto e delle tue vendite.

Credi ancora che valga la pena puntare su soluzioni creative? Parliamone nei commenti, sarò felice di sentire la tua opinione.

P.S. se è l’ultimo punto quello che ti interessa e sei intenzionato a cambiare radicalmente la strategia di comunicazione che adottano i tuoi prodotti sul mercato, contattami per un appuntamento.

 

 

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2 Commenti
  • Ciao, mi chiamo Maurizio, nel lontano 1980 a 18 anni dopo 5 anni di scuola di grafica pubblicitaria,ho iniziato a lavorare in una agenzia di packaging, L’agenzia era la “Dan design” di Milano famosa negli anni 60, come gruppo Dan, a cui facevano parte: Dan dei piccoli, che si occupava di prodotti per l’infanzia, i primi licensing con personaggi americani, Dan Junior che si occupava di campagne stampa, infine c’era la Dan Design che si occupava di packaging e design del prodotto.
    Sono rimasto per 15 anni circa dove credo di aver imparato un mestiere che mi ha appassionato, ho trovato un art director che e’ stato un secondo padre, dove quando vedevo una confezione chiusa gia’ la immaginavo stesa, a quanti colori era stampata, devo dire che non mi ha mai interessato molto la creativita’, ma ha sempre prevalso il riuscire a produrre nel miglior modo possible quello che altri creavano.
    Poi la vita ti fa far scelte giuste o sbagliate che siano, e’ il tempo che lo dice, ho lasciato l’agenzia, ho aperto uno studio mio, dove non mi occupavo solo di packaging, infine la difficile gestione amministrativa, mi ha portato a ritornare come dipendente all’interno di un Tour Operator come grafico esecutivista e produzione.
    Sono poi passato in una agenzia che si occupava di direct marketing, un qualche cosa che non sapevo nemmeno della sua esistenza, poi il destino vuole che arriva un cliente che fa packaging, qui concordo con quanto tu dici, oramai tutti pensano che si puo’ far di tutto, le famose agenzie a 360’, agenzie dove ti ritrovi un giorno una campagna stampa, l’altro una confezione di cioccolatini e l’altro ancora un mailing di vini…
    Ora vorrei porti una domanda, visto che come tu scrivi, hai iniziato 20 anni fa questo lavoro e da quello che leggo sulle tue pagine trovo passione per quello che fai.
    Ma I clienti sono gli stessi di 20 fa’? Non ti sembra che questi neo laureati in Marketing e Comunicazione messi a capo di una azienda abbiano preso un potere decisionale anche su cose che secondo me non competono a loro ma allo studio grafico che li segue?
    Sai cosa penso, che le agenzie hanno perso quell potere che avevano una volta di poter dire a un cliente” Questa e’ l’idea giusta per il tuo prodotto, se non ti va’ bene dopo quella porta trovi tante agenzie che ti accontentano! E poi pero’ chiediti perche’ non vendi nemmeno un incarto!”
    Scusami per lo sfogo e se magari sono uscito fuori da quello che tu scrivi in questo articolo, comunque complimenti ancora

    Maurizio Fraviga
    Ex grafico, ora disoccupato, domani non so’… la vita e’ sempre meravigliosa!

    11 Febbraio 2014at15:34
  • Michele Bondani
    Rispondi

    Ciao Maurizio,
    grazie del contributo e scusami del ritardo sulla risposta.

    Comunque la risposta è si, non è cambiato nulla in peggio non esistono clienti differenti migliori o peggiori rispetto a vent’anni fa.

    Anzi c’è la nuova generazione di manager che è curiosa con voglia di crescere, e oggi grazie alle ricerche su google si possono scoprire molto facilmente tecniche e cose che un tempo sarebbero state difficili da reperire.

    Dall’altra parte della scrivania, a volte ci troviamo ancora le agenzie alla vecchia maniera, istituzioni che hanno ancora la convinzione che la creatività sia la base di partenza e l’arrivo, queste non capiscono e non sanno come spiegarla diversamente al cliente.

    Il mondo è cambiato e il potente mezzo d’informazione da dove mi stai leggendo ci sta dando una nuova cartina geografica per aggredire un mercato di cui tu stesso inconsapevolmente sei rimasto vittima.

    Ti faccio un grosso in bocca al lupo e ti aspetto per il prossimo packaging-contributo.

    Michele

    12 Febbraio 2014at17:47

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